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15 dicembre 2009

27 milioni di dubbi

da NuoviAbitanti

L'articolo che trovate qui a fianco è stato pubblicato dal Messaggero Veneto verso la fine di settembre.
L'argomento trattato riguarda il finanziamento di 27 milioni di euro per la progettazione e la realizzazione dei primi cantieri di una viabilità alternativa all'esistente, che sia in grado di collegare Udine e Pordenone in 35 minuti di automobile.

Innanzitutto, oltre ad utilizzare strade già esistenti come descritto nell'articolo, verranno anche creati nuovi svincoli e "tangenziali" di paesi lungo il percorso, un tunnel, nonché verranno ex-novo tracciate nuove direttrici nel mezzo di una campagna friulana ancora intatta, quale quella in prossimità di Barbeano e Tauriano, e quella splendida nelle vicinanze di Plasencis e di Mereto di Tomba.

Ora, potrebbero essere fatti dei ragionamenti sulla cultura passatista che porta sempre a individuare come soluzione al problema del traffico la creazione di nuove strade, come se lo spazio fisico fosse infinito. Come se queste infrastrutture non avessero un impatto ambientale notevole sul territorio, anche in termini ecologici. Come se anni di ragionamenti non suggerissero l'impiego di sistemi alternativi di trasporto di persone e cose, come ad esempio una sana progettazione della rete dei treni locali.

Ma pragmaticamente, quello che mi preme dire è questo: per andare attualmente da Udine a Pordenone lungo la statale, 50km in automobile, si impiegano dai 40 ai 60 minuti, a seconda delle condizioni del traffico. Da venticinque anni, da quando ho la patente, so che se devo andare a Pordenone in macchina per un appuntamento parto un'ora prima.
Questa nuova opera mi permetterà di risparmiare (forse, perché sappiamo che poi il problema del traffico si ripresenterà anche sulle nuove strade) un quarto d'ora, venti minuti.
E tutto questo vale 27 milioni di euro, che a opera finita saranno diventati 40 (quaranta)?

Non si potrebbero utilizzare parte di quei soldi per ottimizzare il tracciato esistente, e per potenziare alternative maggiormente sostenibili?


5 ottobre 2009

Politiche energetiche a Udine

Il 26 settembre alla Fiera di Udine si è tenuto il convegno "Il ruolo dei Comuni nella promozione del risparmio energetico", dove si è cercato di approfondire le scelte sulle politiche energetiche a partire dall'esperienza di Udine, visto che qui dal primo giugno, prima amministrazione comunale in Regione FVG, è in vigore il nuovo regolamento edilizio che prevede la certificazione CasaClima per tutti i nuovi edifici.

Nel corso del convegno sono intervenuti il sindaco di Udine Furio Honsell, il presidente dell'Ape di Udine Loris Mestroni, l'assessore all'Energia della Provincia di Udine Stefano Teghil, il dirigente del ministero dell'Ambiente Antonio Lumicisi, il direttore dell'agenzia CasaClima di Bolzano Norbert Lantschner, l'arch. Stefano Fattor, già assessore al Comune di Bolzano, l'amministratore delegato della Fantoni spa Paolo Fantoni, il presidente di Legambiente FVG Giorgio Cavallo, Vitto Claut del Codacons di Udine, Claudio Pantanali di Confindustria Udine e Adriano Savoia, presidente della Federazione Italiana Agenti Immobiliari.

Honsell ha presentato il PEC Piano Energetico Comunale, parlando di riduzione di CO2 e di tecnologie per i sistemi di risparmio soprattutto per edifici di una certa età quale via maestra per ottemperare alle indicazioni europee, ovvero il "Pacchetto Energia" del gennaio 2009, definite 20-20-20 (arrivare entro il 2020 a produrre il 20% dell'energia da fonti rinnovabili e ridurre del 20% le emissioni di anidride carbonica), nonché esponendo la filosofia stessa dell'impegno sul risparmio, ragionando a esempio sul kilometro zero.
Interessante il Patto tra i Sindaci europei (a riprova di iniziative "dal basso") per il raggiungimento di simili obiettivi, firmato come protocollo recentemente dal Comune di Udine e da altre novanta municipalità in Italia.

Dopo altri interventi di Mestroni (il ruolo di APE Agenzia Provinciale per l'Energia di Udine) e di Lumicisi (ha mostrato un po' di grafici sulle fonti energetiche, sulla necessità del rinnovabile) ha preso la parola Lantschner di CasaClima di Bolzano, il quale ha esordito preannunciando il suo dover fare necessariamente la parte del "cattivo", perché qui non si è ancora capito bene il dramma a cui stiamo andando incontro, nell'insistere con petrolio e carbone senza comprendere l'ormai superato picco della produzione e la non-economicità dei sistemi attuali.
L'Italia, ha detto esplicitamente, è messa male: continua a fare gli stessi errori da 40 anni, nel campo edilizio.

Dove sbagliamo? Oltre alla dipendenza dal petrolio, e alla stoltezza dell'attuale sistema di distribuzione dell'energia, la gravità sta nel non tenere in considerazione l'efficienza energetica, vera chiave di volta di tutti questi ragionamenti, in ogni settore.
Aiutandosi con dei grafici, Lantschner ha illustrato come il problema vero sia l'edilizia, non i trasporti: a causa dell'inadeguatezza delle costruzioni presenti oggi in Italia abbiamo uno spreco incredibile, non giustificabile.
E bisogna cambiare subito strategia: se ti accorgi di essere su un treno sbagliato, non serve a molto correre verso la coda, devi scendere il prima possibile.
I Comuni non devono "prescrivere" delle iniziative o delle migliorìe, devono piuttosto "premiare" chi fa le case meglio delle leggi attuali... in questo modo, introducendo un sistema premiante, diventa fondamentale il problema del certificato energetico.

Sempre da Bolzano, dove sono veramente all'avanguardia con simili pratiche edilizie (le case "popolari" vengono costruite in fascia B, e questo obbliga anche l'edilizia privata ad alzare la qualità dell'offerta), Stefano Fattor docente di architettura e già assessore a Bolzano mostra come in italia i sistemi di certificazione (caso unico, come al solito) non seguano i criteri europei, cosicché può capitare di acquistare o di poter costruire case che vantano una bassa "impronta" ecologica, ma la cui manutenzione energetica in realtà non appartiene affatto alla categoria di assegnazione, risultando più dispendiosa.


Il prossimo 9 ottobre a Udine verrà presentato il Piano energetico Comunale.

Pianificare l'energia, comunicare l'energia

Il giorno 9 ottobre 2009 alle ore 16.00 presso la sala Ajace del Comune di Udine, si terrà l'incontro pubblico "Pianificare l'energia, comunicare l'energia" per presentare il Piano Energetico Comunale 2009 e il progetto di comunicazione ambientale "Cyber-Display" a co-finanziamento europeo.
L'evento sarà l'occasione anche per raccogliere valutazioni e punti di vista sul nuovo Piano Energetico comunale, che saranno utili per pianificare i futuri interventi in ambito energetico.
Il PEC vuole inoltre implementare le funzioni della pianificazione territoriale e delle politiche di sviluppo sociale a livello locale, valorizzando la variabile energia quale fattore chiave di sviluppo. Viene pertanto assegnata alta priorità alla promozione delle fonti rinnovabili ed al risparmio energetico come mezzi per una maggior tutela ambientale.
Il PEC analizza le caratteristiche del sistema energetico locale alla data odierna, e definisce gli obiettivi di sostenibilità al 2020 coerentemente con gli indirizzi e gli obiettivi della commissione Europea nel settore dei consumi, delle emissioni di gas climalteranti e delle azioni individuate in ambito internazionale per il loro raggiungimento.

Il Piano Energetico è costituito da due documenti:
1. Bilancio Energetico;
2. Piano d'Azione.
Il Bilancio energetico restituisce l'immagine della domanda/offerta di energia sia per quanto riferibile all'Amministrazione che per il Territorio comunale. Il risultato è un documento che prevede una struttura flessibile ed adatta ad essere aggiornata con facilità.
Il Piano d'Azione è suddiviso in proposte di intervento a breve-medio termine e proposte a lungo termine, volte a promuovere l'uso razionale dell'energia ed il contenimento delle emissioni climalteranti. L'intento è duplice: da un lato sono state programmate iniziative per il contenimento dei consumi negli edifici e negl i impianti di proprietà comunale; dall'altro verranno realizzate campagne per la sensibilizzazione ed il coinvolgimento fattivo di soggetti di varia natura (pubblici e privati).

In termini pratici, la caratteristica del PEC è quindi quella di costituire uno strumento operativo, condiviso, chiaro, semplice, che coinvolge i diversi settori che hanno competenza indirettamente su aspetti energetici, e integrato con gli altri strumenti di programmazione e governo del territorio, evitando sovrapposizione tra essi.
L'incontro presenterà inoltre le prime attività svolte nell'ambito del progetto "Cyber-Display" a co-finanziamento europeo, per la comunicazione ambientale nelle scuole e ai cittadini dei temi del risparmi energetico.
All'evento, oltre all'Ass. Lorenzo Croattini in rappresentanza dell'Amministrazione Comunale, parteciperanno alcuni responsabili di Ecuba srl (la società affidataria dell'incarico di redazione del Piano) e Agnese Precotto in qualità di responsabile di una delle campagne di comunicazione sui temi dell'energia attualmente in corso. Sono stati inoltre invitati i rappresentanti di Confartigianato, Legambiente, dell'Agenzia Provinciale per l'Energia di Udine e di AMGA SPA al fine di fornire il punto di vista di diversi portatori di interesse operanti sul territorio.


3 agosto 2008

Transizione

Cristiano Bottone ci racconta la Transizione, dal suo blog ioelatransizione.

Cos’è la Transizione

Cerco di descriverla in poche parole: la Transizione è un movimento culturale impegnato nel traghettare la nostra società industrializzata dall’attuale modello economico profondamente basato su una vasta disponibilità di petrolio a basso costo e sulla logica di consumo delle risorse a un nuovo modello sostenibile non dipendente dal petrolio e caratterizzato da un alto livello di resilienza.

Analizzando più a fondo i metodi e i percorsi che la Transizione propone, si apre un universo che va ben oltre questa prima definizione e fa della Transizione una meravigliosa e articolatissima macchina di ricostruzione del sistema di rapporti tra gli uomini e gli uomini e tra gli uomini e il pianeta che abitano.

Sotto un’apparenza semplice e pragmatica si nasconde un formidabile strumento terapeutico dei tanti mali che affliggono il mondo industrializzato, uno strumento che ho appena iniziato ad esplorare e che mi sembra tra i più promettenti a nostra disposizione.

Transition è un movimento culturale nato non più di due anni fa in Inghilterra dalle intuizioni e dal lavoro di Rob Hopkins, un guru davvero improbabile.

Tutto nasce quasi per caso nel 2003. In quel periodo Rob insegnava a Kinsale e con i suoi studenti creò il Kinsale Energy Descent Plan un progetto strategico che indicava come la piccola città avrebbe dovuto riorganizzare la propria esistenza in un mondo in cui il petrolio non fosse stato più economico e largamente disponibile.

Voleva essere un’esercitazione scolastica, ma quasi subito tutti si resero conto del potenziale rivoluzionario di quella iniziativa. Quello era il seme della Transizione, il progetto consapevole del passaggio dallo scenario attuale a quello del prossimo futuro.


COM’È IL NOSTRO MONDO

L’economia del mondo industrializzato è stata sviluppata negli ultimi 150 anni sulla base di una grande disponibilità di energia a basso prezzo ottenuta dalle fonti fossili, prima fra tutte il petrolio. Più in generale il nostro sistema di consumo si fonda sull’assunto paradossale che le risorse a disposizione siano infinite.

Le conseguenze più evidenti di questa politica sono il Global Warming e il picco delle risorse, prime tra tutte il petrolio, una combinazione di eventi dalle ricadute di portata epocale sulla vita di tutti noi. Ci sono molti altri effetti che si sommano a questi, inquinamento, distruzione della biodiversità, iniquità sociale, mancata ridistribuzione della ricchezza, ecc.

La crisi petrolifera appare però la minaccia più immediata e facilmente percepibile dalle persone. Rob intuisce che è più semplice partire da questo punto e arrivare agli altri di conseguenza, un’intuizione che è probabilmente alla base della fulminea diffusione del suo movimento.


RISCOPRIRE LA RESILIENZA

Ma Rob è anche e soprattutto un ecologista e ha passato anni a insegnare i principi della Permacultura. Da questo suo background deriva la sua seconda intuizione: applicare alla logica della sua Transizione il concetto di resilienza.

Resilienza non è un termine molto conosciuto, esprime una caratteristica tipica dei sistemi naturali. La resilienza è la capacità di un certo sistema, di una certa specie, di una certa organizzazione di adattarsi ai cambiamenti, anche traumatici, che provengono dall’esterno senza degenerare, una sorta di flessibilità rispetto alle sollecitazioni.

La società industrializzata è caratterizzata da un bassissimo livello di resilienza. Viviamo tutti un costante stato di dipendenza da sistemi e organizzazioni dei quali non abbiamo alcun controllo. Nelle nostre città consumiamo gas, cibo, prodotti che percorrono migliaia di chilometri per raggiungerci, con catene di produzione e distribuzione estremamente lunghe, complesse e delicate. Il tutto è reso possibile dall’abbondanza di petrolio a basso prezzo che rende semplice avere energia ovunque e spostare enormi quantità di merci da una parte all’altra del pianeta.

È facile scorgere l’estrema fragilità di questo assetto, basta chiudere il rubinetto del carburante e la nostra intera civiltà si paralizza. Questa non è resilienza.

I progetti di Transizione mirano invece a creare comunità libere dalla dipendenza dal petrolio e fortemente resilienti attraverso la ripianificazione energetica e la rilocalizzazione delle risorse di base della comunità (produzione del cibo, dei beni e dei servizi fondamentali).

Lo fa con proposte e progetti incredibilmente pratici, fattivi e basati sul buon senso. Prevedono processi governati dal basso e la costruzione di una rete sociale e solidale molto forte tra gli abitanti delle comunità. La dimensione locale non preclude però l’esistenza di altri livelli di relazione, scambio e mercato regionale, nazionale, internazionale e globale.


LE TRANSITION TOWNS

Nascono così le Transition Towns (oramai centinaia), città e comunità che sulla spinta dei propri cittadini decidono di prendere la via della transizione.

Qui si evidenzia il terzo elemento di forza del progetto di Rob Hopkins, quello che lui ha creato è un metodo che si può facilmente imparare, riprodurre e rielaborare. Questo lo rende piacevolmente contagioso, anche grazie alla forza della visione che contiene, un’energia che attiva le persone e le rende protagoniste consapevoli di qualcosa di semplice e al contempo epico.

Possediamo tutte le tecnologie e le competenze necessarie per costruire in pochi anni un mondo profondamente diverso da quello attuale, più bello e più giusto. La crisi profonda che stiamo attraversando è in realtà una grande opportunità che va colta e valorizzata. Il movimento di Transizione è lo strumento per farlo.

24 luglio 2008

L'approccio territorialista allo sviluppo sostenibile

[crossposting dal blog dei NuoviAbitanti]

Qui di seguito trovate il link per una interessante dispensa, materiale di studio del corso in "Progettazione e pianificazione sostenibile" della Facoltà di Architettura di Roma, redatta da Alessandro Giangrande.

L'approccio territorialista allo sviluppo sostenibile (.pdf, 300kb)

(dall'introduzione)
L’approccio territorialista, sviluppato nell’ambito dell’omonima scuola, evidenzia come i problemi della sostenibilità dello sviluppo mettano in primo piano la valorizzazione del patrimonio territoriale — nelle sue componenti ambientali, urbanistiche, culturali e sociali — come elemento fondamentale per la produzione durevole di ricchezza.
Il territorio viene concepito come prodotto storico di processi coevolutivi di lunga durata tra insediamento umano e ambiente, tra natura e cultura, ad opera di successivi e stratificati cicli di civilizzazione. Questi processi producono un insieme di luoghi dotati di profondità temporale, di identità, di caratteri tipologici, di individualità: dunque sistemi viventi ad alta complessità.

Per tutta un’epoca storica della modernità, culminata con il fordismo e la produzione di massa, le teorie tradizionali dello sviluppo hanno considerato e utilizzato il territorio in termini sempre più riduttivi, negando il valore delle sue qualità intrinseche: il produttore/consumatore ha preso il posto dell’abitante, il sito del luogo, la ragione economica della ragione storica. Il territorio, da cui l’uomo si è progressivamente liberato considerandolo un insieme di vincoli negativi (ambientali, energetici, climatici, costruttivi, localizzativi, ecc.) per il compiersi della modernizzazione, è stato trattato come puro supporto tecnico di attività e funzioni economiche che sono localizzate e organizzate secondo principi sempre più indipendenti da relazioni con il luogo, con le sue qualità ambientali e culturali: qualità che derivano appunto dalla sua costruzione storica di lungo durata.