4 aprile 2011

via Il Friuli


Intervista al presidente regionale Wwf, Pizzutti: "Ecco i più grandi rischi per il nostro ambiente"
Roberto Pizzutti - Roberto Pizzutti
Roberto Pizzutti

I comitati friulani, si dice, crescono come funghi. E, in parte, questo luogo comune ha un suo fondamento. Si installa una nuova antenna? Ne nasce uno. Si parla di una nuova discarica? Ecco che gli abitanti del luogo fondano un comitato. Alcune aggregazioni vivono lo spazio di una notte, altri resistono addirittura per decenni.
Ma qual è la molla che spinge i cittadini a unirsi? E’ l’effetto Nimby (not in my backyard, non nel mio giardino)? O è un modo della gente per partecipare alle scelte in alternativa a una politica sempre più sganciata dalla società?
Lo abbiamo chiesto a Roberto Pizzutti, presidente regionale del Wwf. “Direi  - risponde l’ambientalista - che ci sono entrambe le cause. Da una parte, la politica, specie quella statale e regionale, è sempre più legata al mondo degli affari e più distaccata dalla gente. Anche se i politici in gamba e onesti non mancano. Dall’altra, tante persone ragionano in termini di orticello. Ciò non vale, però, per chi organizza e si impegna nei tanti comitati: in queste persone, per lo più, agisce la coscienza civile. Basti pensare a chi si occupa del Tagliamento”.
Lei parla di Stato e Regione. E per quanto riguarda i Comuni, più vicini alla gente?
“Effettivamente, chi amministra i Comuni dovrebbe avere più facilità nel dialogo con la popolazione. Tuttavia, c’è spesso nella gente una scarsa attitudine a occuparsi con continuità delle questioni riguardanti il loro territorio. Tanti si mettono a discutere all’ultimo momento, quando le ruspe sono già in azione. Meglio sarebbe pensarci prima”.

Quali sono i problemi ambientali più importanti della nostra regione?
“In ordine d’importanza citerei le casse di espansioni su diversi corsi d’acqua, la captazione d’acqua nei bacini montani, la cementificazione della costa, la Tav (alla quale si legano le cave che saranno realizzate per i rilevati e l’eccessivo sghiaiamento dei fiumi), i rigassificatori e gli elettrodotti. Inoltre, va citato il cementificio di Fanna, i cui forni ora funzionano a a petcoke (residui non distillati del petrolio). Lì si vorrebbe passare al consumo di combustibile da rifiuto (cdr), più vantaggioso economicamente, macon un impatto ambientale non da poco”.

Uno dei problemi ambientali è la cementificazione del territorio...
“E’ vero. La nostra regione ha il consumo pro capite di suolo più alto d’Italia. A partire dalla provincia di Pordenone, seguita da quella di Udine. E questo nonostante ci siano tanti edifici vuoti e superfici già cementificate da recuperare. Servirebbero regole e leggi tali da fermare questo fenomeno”.

Per esempio?
“Si potrebbe prevedere che a ogni nuova edificazione corrisponda il recupero di un’area dismessa. Così si potrebbero riprendere spazi abbandonati anche in mezzo alle città. A Udine per esempio si potrebbe operare su zone come quella tra via Micesio e Via Moro, l’ex albergo Europa, la Dormisch o l’ex Sip in centro”.

A cosa è dovuta questa ‘fame’ di territorio?
“Al fatto che si pensa allo sviluppo in termini obsoleti. Si crede che, per rilanciare l’economia, si debba partire dall’edilizia, come successe per il New deal degli Anni ‘30. Allora, visto che il territorio libero abbondava, il ragionamento aveva un suo senso. Ora non più. E con la crisi l’insensibilità verso l’ambiente si è acuita”.

Ma ci sono comitati che si battono per questo...
“Non sempre. La cementificazione della costa è una delle questioni più gravi e urgenti che abbiamo in regione. Basti pensare alla laguna di Marano (nello specifico valle Grotari), alle realizzazioni previste a Grado tra Città giardino e Pineta (il bosco dovrà lasciare posto a edifici di varia dimensione), ai 30 mila metri cubi che si vogliono costruire nella pineta di Lignano, al ‘recupero’ delle case abusive alle foci dell’Isonzo e al nuovo porto nella baia di Sistiana. Per questi, i comitati non sono ancora sorti”.

Cosa può fare la politica?
“Imporre una drastica riduzione del suolo, come in Germania. Gli stessi Comuni dovrebbero impedire nuove cementificazioni. L’obiettivo deve essere il benessere della gente, non lo sviluppo indefinito”.

Veniamo alla questione energetica. Tanti sostengono che l’unica alternativa è tra il nucleare e i combustibili fossili. E’ così?
“E’ un falso dilemma. E’ stato dimostrato che, nell’arco di 40 anni, si potrà coprire il fabbisogno energetico con risparmio e fonti alternative”.

Parliamo di pianificazione. Cosa manca nella nostra regione?
“Mancano il Piano energetico, quello dei rifiuti e quello dei trasporti con una mobilità sostenibile. Per esempio, assistiamo alla concentrazione di investimenti per la Tav e la Tac. Sarebbe meglio, invece, puntare sull’eliminazione dei colli di bottiglia esistenti sulla rete ferroviaria (Udine-Cervignano, Udine est, Monfalcone-Aurisina e, in Veneto San Donà-Venezia). Così facendo, si moltiplicherebbe per cinque volte la capacità delle nostre strade ferrate”.

Anche l’agricoltura è un problema?
“Lo è in due sensi. Da una parte, in montagna, il territorio è abbandonato. La progressiva crescita delle foreste favorisce il ritorno di alcune specie animali (come l’orso o la lince), ma allo stesso tempo ne mette in pericolo altre (coturnice e gallo forcello) che vivono nei prati. Dall’altra, l’uso di terreni vergini in pianura per l’agricoltura intensiva sta eliminando la biodiversità. Paradossalmente, l’unico luogo nel quale tante specie vegetali possono sopravvivere sono gli argini artificiali lungo i fiumi. E poi c’è il problema dell’importazione di specie vegetali esotiche”.

Ovvero?
“Su 3 mila specie presenti in regione, 300 provengono da altri continenti (una su dieci), arrivate qui con i trasporti. E’ un meccanismo simile a quello che ha portato da noi la zanzara tigre”.

Hubert Londero

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