9 giugno 2008

Struttura e funzioni della Rete. Apriamo un dibattito

Cari Amiche/i della Rete regionale,
nell’incontro di sabato 7 giugno a Palazzolo dello Stella della commissione incaricata di redigere la bozza di statuto della Rete sono sorti una serie di problemi di fondo che hanno impedito di trovare una mediazione accettabile. Mi sembra giusto esporli per aprire una riflessione e decidere se e in che modo proseguire l’esperienza.
Tutto è iniziato con l’osservazione del fatto che molti e importanti soggetti collettivi ed istituzionali stentano ad essere intercettati e disposti a far parte della costituenda rete, che così rischia di essere una delle tante iniziative a carattere culturale, magari utile per promuovere eventi anche di successo (crisi ambientale, risparmio energetico, fiere e feste, ecc.) ma incapace di mettere effettivamente in moto un processo di costituzione di un’economia altra.
Dopo una serie di considerazioni e passaggi che non starò qui a riprodurre siamo infine giunti a dibattere sulla natura della rete: struttura leggera o pesante?
Struttura leggera. Organo di supporto allo sviluppo di buone pratiche e di filiere corte, lasciando poi alla creatività dei soggetti e delle loro interazioni il compito di definire assetti futuri.
Struttura pesante. Organo che, oltre alla condivisione di obiettivi e valori, stabilisce norme condivise per stare in rete e fare sistema.
Scavando attorno a questa biforcazione è infine emerso il nocciolo duro, ovvero il rapporto con il mercato. Come ben capite il tema è cruciale, perché da esso si dipartono due diverse strategie, due diverse concezioni di pensare alla transizione, cioè alla riformabilità graduale o radicale del mercato.
La prima linea di azione, che si sostanzia nell’ipotesi della struttura leggera, evolutiva, ritiene che il mercato sia riformabile, fino a renderlo compatibile con la sostenibilità del sistema.
La seconda linea di azione ritiene, diversamente, che il mercato sia diventato una grande narrazione, sia un sistema antropologico in grado di riassorbire, di piegare alla sua logica qualsiasi tentativo, seppur lodevole, di ridurne l’impatto attraverso buone pratiche e lodevoli tentativi di creare filiere corte. Sarebbe forse gradualmente riformabile se disponessimo di un arco temporale adeguato (50-100 anni?) ma non mi sembra che la crisi ambientale ed energetica ce lo consenta.
Personalmente sostengo questa seconda tesi: occorre creare fin da subito una strategia istituzionale che configuri la rete come società ed economia altra chiedendo ai soggetti che vogliono definirsi tasselli di economia solidale di entrare a far parte del sistema condividendo valori, scenari e regole. Solo in questo modo potremo “smontare”, pezzo a pezzo, l’invasività del mercato capitalistico e non esserne, all’opposto, smontati. Gli esempi di invasività della logica di mercato su soggetti nati come tentativi di creare economia altra sono innumerevoli: le cooperative di consumo; molte cooperative sociali; molte botteghe del commercio equo e solidale.
Per essere ancora più chiari faccio un esempio. Un gruppo di acquisto di prodotti bio può definirsi solidale se, aderendo alla rete, oltre a condividere valori e obiettivi accetta la regola di acquistare dai produttori bio locali (a cominciare da quelli facenti parte dello stesso distretto territoriale), produttori bio che a loro volta avendo aderito alla rete si impegnano a rispettare regole come ad esempio quelle di non superare certe soglie dimensionali di impresa, di favorire i consumatori locali, di rispettare l’ambiente, ecc. Certo, queste scelte costano sia al produttore che al consumatore, ma d’altronde sono un investimento necessario se vogliamo costruire un’economia solidale.
Mi sembra necessario, a sostegno di questa tesi, richiamare il documento approvato nell’Assemblea di marzo a Palmanova, riportando semplicemente i primi due paragrafi:
“L’orizzonte
L’attuale sistema socio economico, egemonizzato dal mercato capitalistico, sta portando l’umanità verso il collasso ambientale, economico, energetico, sociale e politico. Soluzioni parziali non sono più percorribili in quanto i fattori di crisi sono ormai sistemici.
Occorre rompere l’egemonia di tale modello economico, i cui obiettivi sono quelli di espandere all’infinito bisogni e consumi, di rendere “liquide”, strumentali, le relazioni fra le persone e gli aggregati sociali.
E’ urgente immaginare insieme, progettare e costruire un nuovo sistema, in grado di offrire a noi tutti un percorso diverso e democratico di fare economia“solidale”.


L’obiettivo
In Italia, come in altri Paesi, si stanno costituendo reti locali di buone pratiche, denominate distretti e reti di economia solidale.
Le buone pratiche (i nodi della rete), che si stanno moltiplicando anche nella nostra regione, possono iscriversi in un orizzonte di economia solidale solo se sapranno fare sistema, ovvero sostenersi reciprocamente e dotarsi di istituzioni in grado di offrire un contenitore tale da garantirne il sostegno e lo sviluppo. I distretti e la rete di economia solidale sono per l’appunto questo contenitore istituzionale.
Condivido la preoccupazione che una rete che ho volutamente chiamato “pesante” possa correre il rischio di ideologizzarsi, di essere preda di vecchie tentazioni elitarie e potenzialmente autoritarie. Questo pericolo a mio avviso va scongiurato mantenendo la rete un sistema aperto e democratico. Sono convinto che i nodi (cioè i soggetti) debbano restare i veri protagonisti, ma fra loro connessi condividendo valori, obiettivi e norme.
Fra le molte definizioni di rete, quella che a mio avviso appare più feconda ai nostri fini rimanda alla struttura e alle funzioni del cervello (e non ad una sommatoria disordinata di elementi e informazioni, sperando che si inneschi un qualche processo evolutivo) ma un insieme di parti fra loro connesse che, pur mantenendo la loro specificità, cooperano in modo sistemico in vista di obiettivi condivisi e contrattati incessantemente (sistema aperto, democratico), invece che fissi ed immutabili (sistema chiuso, autoritario).
Viviamo già in un sistema che impone le regole e assegna le nicchie di sopravvivenza ai più forti: questo sistema, questa rete, si chiama mercato.
Ringrazio quanti, nel dibattito, hanno onestamente espresso le loro idee. Confido che il dialogo si allarghi e si possa arrivare ad una sintesi soddisfacente e ragionevolmente condivisa.
Ferruccio

6 commenti:

Unknown ha detto...

Sono in piena sintonia con Ferruccio. Ritengo che il Mercato (questo che ci sta governando) non abbia nessuna possibilità di essere solidale: le sue modalità sono la competitività, la selezione e l'esclusione (non solo dei singoli ma anche delle imprese, come è sotto gli occhi di tutto il mondo) e il suo unico obiettivo è l'accumulazione del capitale. Questo è il sistema-mondo (E. Wallerstein) nel quale siamo immersi e nel quale dobbiamo rimarcare la nostra diversità, non nel dire ma nel fare, come si diceva sabato scorso. Tutti abbiamo consapevolezza di quanto sia difficile essere liberi dentro questo sistema: ma non è pensabile, a mio parere, che la via d'uscita sia una sua governabilità solidale di esso (anche perchè il "gestore" non è individuabile, è globalizzato). Quindi abbiamo la necessità di cambiare paradigmi, di cambiare il nostro immaginario e probabilmente anche il nostro linguaggio, attraverso un empowerment della nostra creatività. Per opporci al sitema-mondo-mercato e non esserne schiacciati, dobbiamo inventarci un sistema-solidarietà, e la RES potrebbe rappresentare una di queste modalità. Le "buone pratiche" di cui sempre parliamo (definite anche nel nostro documento) se non sono inquadrate all'interno di una visione sistemica, quale quella proposta anche dal nostro documento, rischiano di diventare solo "buone azioni". Non sappiamo se il nostro progetto potrà avere successo, ma sono convinto che in questo momento non possiamo rinunciare alla nostra responsabilità e alla nostra libertà nel proseguire questo processo.
Infine una nota sul documento approvato dalla nostra assemblea. Le parole del documento, come ha evidenziato anche Ferruccio, sono inequivocabili. Quando si ragionava su quei temi, stavamo solo scherzando? Era solo un "pour parler"? E' vero che i processi non debbono essere necessariamente lineari, ma per favore vogliamo metterci d'accordo almeno sui "fondamentali"?

Marco ha detto...

Hmmm, mi sento un po' a metà tra le due opzioni. Da un lato sono d'accordo sulla difficoltà, forse impossibilità, di riformare il mercato, dall' altro però non condivido la struttura pesante. Come si concilia con l' empowerment della creatività? Secondo me in questa fase il pluralismo va trattato alla stregua diversità biologica. E non solo per motivi etici (nessuno crede nell' autoritarismo) ma anche per un motivo tattico. Di fronte ai problemi citati la strada che stiamo perseguendo è una tra le tante. Vogliamo, giustamente, andare oltre ma non sappiamo quale direzione sia quella giusta. In questo contesto la diversità è una ricchezza: più strade diverse si tentano più possibilità ci sono di azzeccare quella giusta. Non dobbiamo farci prendere dall' assillo di cercare a tutti i costi il percorso ottimo: rischiamo di restare al punto di partenza. Anche perchè mettere tanta attenzione nelle scelte di partenza presuppone di avere una analisi usabile come base per fare previsioni verosimili. Ora una siffatta analisi secondo me non esiste. Non sappiamo come saremo tra 10 anni. Non necessariamente ci attende uno scenario da day after. In fondo ci sono 3-4 miliardi di persone chevivono in modo sostenibile; il problema è quel 20% che usal' 80% delle risorse. Magari smagrendo quel 20% si risolve il problema, ed è quello che le destre in tutto il mondo stanno cercando di fare, sgretolando il ceto medio dopo averlo atomizzato e privato di una forza politica significativa (sostituendo il dibattito pubblico con una campagna di pubbliche relazioni di stampo commercial-aziendale).

Anonimo ha detto...

La fiducia è la base di ogni rapporto sinergico...la fiducia deve essere reciproca e perdurare nel tempo ....affinchè ciò succeda deve esserci una comunione d'intesa e un unico agire.
Nel caos in cui viviamo , per me , devono esserci delle linee guida condivise in maniera democratica .
Pensiamo a come dovrebbe essere l'agire collettivo "perfetto" e poi vediamo se noi rientriamo in quell'esempio...se siamo vicini o se ne siamo lontani....solo dopo questa riflessione capiremo se il resfvg è pronto per fare qualcosa per gli altri.
La prima rete siamo noi e noi siamo pronti a fare questi grandi cambiamenti dando così l'esempio?

Anonimo ha detto...

Credo che Ferruccio abbia sollevato un punto focale che riguarda i valori più profondi di ognuno di noi facente parte della rete RES FVG,che coinvolgono il Perchè "lo faccio" o il perchè lo "dovrei fare", e cosa e come "ho fatto, ho agito" fino ad oggi. Non possiamo sapere come saremo fra 10 anni, ma possiamo sapere CHI siamo oggi, COME viviamo,COME vogliamo percorrere il sentiero, e con CHI.
Penso che solo profonde, condivise, PURE motivazioni possano creare le basi per un Puro cambiamento.
Il punto critico? la responsabilità...la responsabilità di scegliere di Essere Attori Responsabili che, oltre alla condivisione di obiettivi e valori, stabilisce norme condivise per stare in rete e fare sistema.
Non penso che norme condivise per stare in rete e fare sistema siano così “pesanti” né che tali possano essere d’ostacolo alla creatività del singolo o dei gruppi, ma forse d’aiuto a non diventare essi stessi strumento di invasività della logica di mercato a cui stiamo assistendo su soggetti nati come tentativi di creare economia altra: le cooperative di consumo; molte cooperative sociali; molte botteghe del commercio equo e solidale.

Giorgio Jannis ha detto...

Il mercato è una tecnologia (del pensiero, innanzitutto), un'invenzione umana, storicamente determinata e cangiante, grazie a cui da millenni le collettività individuano un Luogo fisico territoriale - e subito mentale - dove poter allestire una situazione di dialogo (sì, i mercati sono conversazioni) tra domanda e offerta. Il mercato esisterà sempre, ovunque esisterà una collettività in grado di differenziare al proprio interno componenti produttive e distributive.

E' perfettamente inutile individuare il nemico nel mercato, nominarlo per giunta con la M maiuscola, visto che non può non esserci un mercato. Il nemico piuttosto sono le distorsioni del mercato: una bottiglia di acqua minerale calabrese NON PUO' costare come un'acqua minerale friulana, per intenderci.

Tutto questo per uscire da una visione ideologica del problema: allo stesso modo, questo punto di vista "dall'alto" della RESFVG contraddice proprio l'idea stessa di rete, del suo carattere emergente.

Come posso normare ciò che non conosco? Come posso stabilire regole se non so nemmeno chi sono e cosa pensano quelli che della Rete vorrebbero/potrebbero far parte?

Svolta pragmatica, quindi: sospendiamo le discussioni ideologiche, stiliamo una lista di valori dichiaratamente solidali e "concreti" (impronta ecologica, decrescita, ottimizzazione dei sistemi di distribuzione - filiere, buone prassi, visione glocale), costruiamo collaborativamente una mappa degli Attori territoriali e del loro fare specifico/connessioni esistenti, potenziamo la comunicazione intragruppo e verso l'esterno (visibilità, riconoscibilità, identità, partecipazione, appartenenza), individuiamo delle linee d'azione per il futuro (sull'esempio ottimo di ReesMArche) attorno alle quali le persone potranno organizzare il proprio sentire ed il proprio fare.

Una Carta dei Valori, tutto qua, che le realtà locali potranno sottoscrivere, senza per questo esprimere una appartenenza forte ad alcunché: non ho voglia di mettermi a giocare a "tu sei dentro, tu sei fuori" oppure a "sei non stai buono, porto via il pallone".

Mettiamoci in moto: la condivisione di competenze, la discussione, le indicazioni provenienti da un fare concreto permetteranno al gruppo di impostare la giusta strategia, quella maggiormente adeguata al contesto di realizzazione (la Rete FVG possiede delle peculiarità?).

Anonimo ha detto...

Ringrazio Ferruccio per le considerazioni relative all'incontro del 7/6. Poter "leggere" con calma e a "mente fredda" il suo pensiero mi ha aiutata a comprendere meglio alcune cose. In merito al modo in cui agire, mi trovo d'accordo con Ferruccio quando afferma che "occorre creare fin da subito una strategia istituzionale che configuri la rete come società di economia altra chiedendo ai soggetti che vogliono definirsi tasselli di economia solidale di entrare a far parte del sistema condividendo valori, scenari e regole". Quello che mi chiedo è se non sia il caso di "partire con la pratica", iniziando a cercare in mezzo ai tanti tasselli quelli che possono contribuire a formare il puzzle per la costruzione del quale ci stiamo incontrando, stiamo discutendo e cercando soluzioni.
Mi rendo conto che è proprio l'individuazione dei "tasselli giusti" il punto cruciale, ma potremmo forse tentare di contattare quelle realtà che, secondo le informazioni che è possibile raccogliere, rispondono ai valori, agli scenari e alle regole da noi condivise. Come si diceva sabato a proposito del biologico, è possibile che esistano anche dei soggetti che, pur producendo biologico, non aderiscono ai valori che sottendono a un'"economia altra", ma come è possibile saperlo se non provando a fare?