16 marzo 2010

GLOBALIZZAZIONE E BIOCAROTA

Nel 2000 Ulrick Beck, fra i massimi studiosi del fenomeno della globalizzazione, aveva coniato questa semplice ma efficace formula: “Non esistono soluzioni biografiche per problemi sistemici”, che tradotta significa: da soli non si cambia questo mondo, non si riducono i rischi della globalizzazione.

Zigmun Bauman in questi anni ci ha quindi inondato di saggi sulla società liquida e sulla mutazione dell’homo sapiens sapiens in homo consumens, passando per l’homo oeconomicus.
Su questa mutazione antropologica vi è ormai una bibliografia sconfinata. 
Mi limito a segnalare l’ultimo contributo che trovate in libreria: “Consumati. Da cittadini a clienti” di Benjamin Barber.

Sulle pagine della cultura de La Repubblica del 15 marzo scorso Federico Rampini intervista l’autore, che illustra la tesi centrale del libro: il consumismo ha bisogno di persone che anche in età adulta restino consumatori bambini, egocentrici che dicono “io voglio” per sempre.
Verso la conclusione, l’intervistatore formula così una sua domanda: “… tanti movimenti si propongono di cambiare il mondo operando sulle scelte di consumo. Slow Food c’insegna a promuovere lo sviluppo sostenibile quando facciamo la spesa alimentare. Fair Trade ci spinge ad acquistare il caffè i il cacao attraverso una filiera di commercio equo che by-passa le multinazionali e aiuta i contadini dei paesi in via di sviluppo. Eppure lei contesta anche questo”.
Questa la risposta di Barber: “Perché anche questa è una favola per bambini, una favola a lieto fine, l’idea che si cambia il mondo attraverso il consumo privato. La scuola dei nostri figli, l’equilibrio climatico del pianeta, l’indipendenza energetica: in tutte queste sfere il cambiamento non può venire semplicemente da scelte individuali di spesa. E’ l’ammissione di una disfatta, se noi ci ritiriamo nella sfera dell’azione privata – sia pure il consumo “verde” e terzomondista – e abdichiamo al nostro ruolo nella politica.”

Domenica scorsa mi sono recato a Milano, alla manifestazione “Fa la cosa giusta. Fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili”. Grande successo di pubblico attorno alle centinaia di bancherelle delle buone pratiche: salame bio, abbigliamento di moda bio, medicine non convenzionali, ecc. Ho visto migliaia di consumatori (e di venditori) felici come bambini.
Ne vogliamo parlare? Il blog della Rete non può essere una bacheca di comunicatori solitari, ma un luogo ove fare dialogo critico e costruttivo.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Sull'egocentrismo: la crisi sposterà l'attenzione verso le cose più essenziali. Da quel punto di vista mi preoccupo meno.
Certo, anche sull'equosolidale si tende ad utilizzare lo stesso strumento comunicativo: essere accattivante e desiderabile. D'altra parte non sappiamo ancora comunicare diversamente.

Sul fatto che non si cambia il mondo solo con l'atteggiamento privato è verissimo. E' una conclusione a cui giungono tutti. Anche Beppe Grillo esortava a votare scegliendo i prodotti al supermercato ed ora fa le liste civiche, dopo esser passato attraverso il "fiato sul collo" nei consigli comunali e la raccolta di firme per referendum.
Il fatto che nascano liste civiche come quella a Sacile o Staranzano Partecipa (http://staranzanopartecipa.blogspot.com) proprio tra coloro che hanno iniziato con le "buone pratiche" e che si sono accorti che non basta, è la riprova...

paola

Giorgio Jannis ha detto...

"Non esistono soluzioni biografiche per problemi sistemici” è una frase che si trascina dietro, come tutte le frasi, una visione del mondo, acquista significato contro uno sfondo dove i termini "soluzione", "biografia", "problemi" e financo "sistemici" sono compresi all'interno di uno stesso orizzonte di pensiero, un linea interpretativa che rende coerente il tutto.
Ma qui non sono i termini che stanno cambiando, è lo sfondo stesso. E tutto cambia.

Quelle affermate son cose giuste, ma riguardano un paradigma storico e culturale che ci stiamo lasciando alle spalle.

Il "pubblico" e il "privato" di Barber sono concetti novecenteschi, mentre in questo momento le cose si stanno mescolando alquanto, con il nostro abitare in Luoghi digitali, dove il privato è subito pubblico (se non badiamo appunto alla privacy, che di certo non è quella di vent'anni fa), il pubblico sono i social network e i Luoghi della socialità in Rete, quello che accade in Facebook modifica l'agenda politica di un Stato.

Perché quel privato di cui si parla nel post è la sfera di vita di persone intermediate, ovvero che dipendono da altri per procacciarsi l'informazione, la scuola, per manifestare orientamento politico, scelte di vita legate al consumo, e molto altro.
Ma noi stiamo vivendo l'aba di un'era della disitermediazione (cercate su Google), e prova metonimica (come pars pro toto) ne è questo blog, ogni blog, ogni spazio caldo e relazionale su cui pubblichiamo noi stessi dinanzi al mondo intero, e intrecciamo informazioni e relazioni prima semplicemente non raggiungibili, non vivibili.

Pensare al futuro con le categorie del passato impedisce di cogliere le novità e le potenzialità dei nuovi stili dell'abitare pubblico e privato, e ostacola la consapevolezza dei rischi che potremmo incontrare.

Tanto per fare un esempio, se i GAS usassero bene il web, sparirebbero i supermercati.
E questo è un esempio di privato che non affronta l'economia classica, non si oppone, ma semplicemente la scavalca, perché abita altrove rispetto ai vecchi piani di ragionamento.

Diario di viaggio ha detto...

Dire che tutto passa attraverso il mercato è una banalità.
Io faccio parte di quella schiera di persone che si sentono più felici ad acquistare prodotti biologici, detersivi naturali, ma questo non significa ritirarsi nella sfera privata.
Perchè?
1. Fare scelte di acquisto consapevoli è una scelta politica. Decidere di acquistare determinati prodotti anzichè altri, passare parola ad amici e conoscenti, comporta una diminuzione delle vendite di certe aziende che non seguono criteri di sostenibilità ambientale ecc.
2. Non a caso nel pordenonese ho saputo di un supermercato che vorrebbe accordarsi con dei gruppi di acquisto per poter vendere ciò che loro comprano. Questo significa cambiare le regole del mercato.
3. E' tuttavia necessario mantenere alta l'attenzione su aziende bio e enti certificatori o enti deputati al mercato equo solidale. Il sistema di mercato è perverso e la perversione non cambia tra biologico e non, per fare un esempio.
4. Sarebbe opportuno pensare ad un modello sostitutivo del capitalismo, ma questa non è la sede per discuterne.
5. Mettiamo più in pratica ciò che riteniamo giusto nella vita e forse riusciremo a trovare la strada, anzichè seguire troppi teorici.

ferruccio ha detto...

Una risposta ad entrambi, iniziando da Paola. Le crisi aprono scenari imprevedibili: possono andare nella direzione da te auspicata, ma anche in direzioni opposte. Per il principio di precauzione è meglio operare affinchè la storia non finisca. Quindi, bene le liste civiche, specie se creano spazi per processi partecipativi sempre più ampi. Con questo mi aggancio all'intervento di Giorgio, che parla di superamento dell'intermediazione, grazie alla rete. Ma siamo sicuri che sarà così e che i vecchi poteri non troveranno il modo di addomesticare questo "stato nascente"? Senza negare il potenziale di cambiamento del web, esso ha due punti di fragilità. Il primo, inteso come mezzo, è pur sempre un intermediario semipubblico, ma soggetto a tentativi continui di privatizzazione e di controllo. Il secondo riposa sull'ipotesi che esso determini una nuova dimensione comunitaria, che mette in soffitta i vecchi paradigmi novecenteschi.
Uso il termine ipotesi, nella speranza che Giorgio non lo consideri invece un paradigma compiuto, altrimenti il discorso si chiude. Siamo in una fase di passaggio, dove le relazioni fra gli individui passano attraverso luoghi comuni: territori e web. Le nuove forme comunitarie devono tenere conto di questo set complicato e costruire nuovi linguaggi, nuove "danze relazionali" (Bateson) per nuove istituzioni. I focus group che stiamo organizzando cercano di definirne i contorni identitari.

ferruccio ha detto...

Nel mio primo intervento avrei argomentato anche su Marco, se lo avessi letto per tempo. Ad ogni modo lo ringrazio, assieme a Paola e a Giorgio, perchè così dovrebbe essere la funzione di quasi tutti i post.
Marco, consentimi di dire che non ho mai creduto allo slogan che il personale è politico. Questo lo sostengono, semmai, i liberisti quando affermano che il "sociale" è la semplice somma di comportamenti individuali. E ciò si attaglia perfettamente alla logica del mercato, che pensa ai cittadini come clienti, meglio se isolati.
Poi che questa non sia la sede per discutere su un modello alternativo al capitalismo mi sembra strano, visto che il blog si chiama "Rete di economia solidale" e che la Carta ed il Protocollo di adesione sono a dir poco espliciti.
La politica è proprio questo: mettersi insieme per cambiare il mondo. Per chi crede nella democrazia le decisioni e gli atti conseguenti avvengono attraverso la libera discussione, superando la vecchia contrapposizione fra teoria e prassi.

Diario di viaggio ha detto...

Ciao Ferruccio.
Faccio un distinguo. Io agisco così perché per mie inclinazioni mi sono sempre interessato al sociale, alle diseguaglianze ecc.
Pochi mesi fa ho attuato dei cambiamenti. Sono diventato vegetariano, il mio reddito è speso per prodotti bio o acquistati tramite gas. Lo faccio per me, ma queste cose le diffondo e ora più di una decina di persone ha cambiato stili di vita grazie a me.
Questo è politico.
In merito alle discussioni da fare in questa sede, abbi pazienza, leggo in velocità dal lavoro i contributi e cerco di dare il mio con una velocità di scrittura tale che potrei vincere i campionati di dattilografia.
Le cose nelle quali credo io le diffondo con impegno e costanza e questo lo fanno in decine di migliaia. Ora devo andare a cucinare, tempo scaduto.
Saluti.